Nella settimana in cui è stato pubblicato il Dl Agricoltura, per recepire una serie di legittime istanze avanzate dal mondo agricolo, una importante catena distributiva promuove la vendita di frutta e verdura a 0,99 euro al pezzo o al chilo. La tempistica di questa pubblicità solleva preoccupazioni significative e interrogativi importanti sulle dinamiche del mercato agroalimentare.
“Promozioni che nascondono problematiche profonde”
“Promuovere frutta e verdura a un prezzo così basso – commenta Giancarlo Minguzzi, presidente Fruitimprese Emilia Romagna e numero uno della omonima Op di Alfonsine (Ravenna) – potrebbe sembrare vantaggioso per i consumatori, ma nasconde problematiche profonde che riguardano la sostenibilità economica e sociale del settore agricolo. Vendere prodotti a prezzi inferiori ai costi di produzione danneggia gravemente le imprese agricole, che si trovano in una posizione di debolezza contrattuale rispetto alle grandi catene di distribuzione. Questa debolezza è amplificata dal fatto che i prodotti agricoli, essendo deperibili, devono essere venduti rapidamente, spesso a qualsiasi prezzo, per ridurre le perdite”.
La questione della debolezza contrattuale dei produttori rispetto ai distributori è cruciale. “I prodotti industriali, che hanno una maggiore durata e possono essere stoccati per periodi più lunghi, non sono soggetti alla stessa pressione di vendita. Questo rende le imprese agricole particolarmente vulnerabili a pratiche commerciali sleali, come quelle che il dl Agricoltura cerca di contrastare. La nuova normativa intende creare un equilibrio più giusto nel mercato, garantendo che i prezzi di vendita riflettano i costi di produzione e impedendo che i produttori siano costretti a vendere sottocosto”.
La pubblicità della catena distributiva appare quindi in aperto contrasto con l’intento del provvedimento, continua Minguzzi. “Promozioni sottocosto, come questa, fanno capire che le pratiche sleali sono ancora diffuse. La questione minaccia la sostenibilità economica dei produttori, che sono costretti a competere in un mercato dove i grandi distributori dettano le regole. Le imprese agricole, incapaci di coprire i propri costi, rischiano di essere espulse dal mercato, portando a una maggiore concentrazione del potere economico nelle mani di pochi grandi attori. Questo non solo riduce la varietà e la qualità dei prodotti disponibili ai consumatori, ma mina anche l’economia locale e la resilienza del settore agroalimentare”.
Qualche numero
Nel periodo dal 2016 al 2021, nel nostro Paese, circa quattromila aziende agricole, pari al 31%, hanno interrotto la loro attività. Al contempo, la Superficie agricola utilizzabile (Sau) ha registrato una diminuzione del 2,5%, mentre le aziende ancora operanti hanno registrato un aumento delle dimensioni. La distribuzione del valore aggiunto relativa ai prodotti ortofrutticoli freschi (cioè l’incremento di valore che si verifica nell’ambito della produzione e distribuzione di beni e servizi finali grazie all’utilizzo dei fattori produttivi) tra i soggetti della filiera dal 2009 al primo febbraio 2024 evidenzia un trend di guadagno di quota della Gdo con +2,2% a fronte di una rilevante perdita di quella dell’agricoltura con -6,3 per cento.
La pubblicità della catena in questione evidenzia una realtà in cui, nonostante i tentativi legislativi di proteggere il settore agricolo, le grandi catene di distribuzione continuano a sfruttare la debolezza dei produttori. “È essenziale che i consumatori siano consapevoli delle implicazioni di queste promozioni e che le autorità monitorino attentamente il rispetto delle nuove norme. Solo attraverso una combinazione di leggi rigorose, enforcement efficace e consapevolezza diffusa si può sperare di creare un mercato più giusto che possa assicurare un futuro sostenibile per il settore agroalimentare e per le comunità che da esso dipendono”.
L’insegna in questione non è italiana
“Non sorprende che questo inaccettabile utilizzo dei nostri prodotti come richiamo venga da una catena di distribuzione straniera che, contrariamente a quanto avviene nel proprio Paese di origine, non mostra nessun interesse alla tutela dei prodotti locali”, continua Minguzzi.
Una recente rilevazione di un noto ente tedesco di statistica ha evidenziato che in Europa la distribuzione risulta polarizzata in Germania e Francia con gruppi come Schwarz (Lidl, Kaufland) e Rewe che fatturano dieci volte il volume di affari di Conad (che rappresenta la nostra prima insegna con circa 25 miliardi di fatturato) occupando solamente il 21esimo posto della classifica.
“Così – conclude Minguzzi – mentre in Francia Carrefour e Leclerc prediligono quasi esclusivamente prodotti locali, da noi il mercato è terra di conquista dei gruppi stranieri (spesso discount) che hanno come obiettivo esclusivamente il profitto e finiscono con lo svilire i prodotti ortofrutticoli con politiche di ultimo prezzo e corse al ribasso”.
Fonte: Fruitimprese Emilia Romagna