“Italia Ortofrutta, l’unione fa la forza!”: c’era chi lo gridava e chi lo sussurrava, chi lo declamava in gruppo con i colleghi all’interno di un magazzino di confezionamento, chi ancora vicino all’albero di casa sua o del suo ufficio. Un simpatico video, ispirato a quello di un noto canale televisivo e realizzato da alcune delle 140 organizzazioni di produttori che fanno parte di Italia Ortofrutta, ha spezzato il lungo pomeriggio di incontri e interventi che ha caratterizzato il compleanno, il 50esimo, della nota società consortile, che si è tenuto giovedì 12 dicembre a Roma.
Un video che ha voluto rappresentare anche lo spirito che anima un gruppo di realtà che rappresenta una fetta molto importante del tessuto imprenditoriale ortofrutticolo italiano con un fatturato di 2,1 miliardi di euro. È stato Gianni Petrocchi – accompagnato sul palco da presidente Gennaro Velardo – oggi presidente vicario, una delle memorie storiche dell’Unione, essendovi entrato a far parte dalla metà degli anni ’80, a illustrare con excursus ricco di testimonianze video, le tappe che hanno portato Italia Ortofrutta fino ai giorni nostri. Un percorso. Dall’allora UIAPOA – “sigla misteriosa e nome impronunciabile” ha commentato Petrocchi – fino all’attuale Italia Ortofrutta, sono stati molti i passaggi che hanno portato le OP a diventare strumento, fortemente incentivato dalla Comunità europea, per fare sistema e aggregazione.
Le OP come guida per orientare il settore
Parola, naturalmente, quest’ultima, che spesso è riecheggiata come obiettivo da perseguire e strumento di crescita all’interno del frammentato contesto agricolo italiano, negli interventi dei molti ospiti che hanno partecipato all’incontro. A partire da Vincenzo Falconi, direttore di Italia Ortofrutta, che ha sottolineato come in Italia esistano oggi 304 Organizzazioni di produttori per un totale di circa 6 miliardi di produzione, vale a dire il 55% di quella complessiva, nonché il 32% della superficie agricola utilizzata per le colture ortofrutticole e il 56% del quantitativo complessivo prodotto.
“Oggi le Organizzazioni di Produttori sono realtà affermata e imprese guida per orientare il settore”
ha evidenziato Falconi all’interno di un intervento che ha elencato molti dei problemi che continuano ad affliggere il settore. “Paghiamo ancora la chiusura del mercato russo, la carenza di altri mercati di sbocco, costi più slti rispetto ad altri paesi, dumping dei paesi terzi, gli effetti dei cambiamenti climatici, la poca capacità di fare lobby”.
Più qualità, visibilità e recupero del rapporto con i consumatori
Moltissimi i punti che secondo Falconi le Organizzazioni devono ora affrontare per avere un “nuovo approccio con il mercato”. Dalla necessità di ridare valore al prodotto – “Sulla qualità abbiamo abbassato l’asticella. Abbiamo un problema di caratteristiche organolettiche, oggi non è facile trovare frutta buona e questo crea disaffezione, mentre dobbiamo recuperare un rapporto con consumatori” – alla quella di donare maggior visibilità alle OP – “Il nostro settore non è conosciuto e non si vede dai consumatori. Ci piacerebbe ora che venissero introdotte norme che diano visibilità alle nostre OP”. E ancora il nodo della ricerca e dell’innovazione: “Abbiamo l’obbligo di lasciare il 5% alla ricerca, ma è una norma che ci lascia perplessi, vorremmo essere lasciati liberi per fare massa e aggregazione in questo ambito”. Sul fronte OCM, secondo il direttore di Italia Ortofrutta può riorientare il mercato se “modula la percentuale di aiuto e definisce azioni coordinate da più OP”.
Il valore degli imballaggi, l’export sempre più in declino
Non sono mancate le tavole rotonde, due, che hanno visto la partecipazione di esponenti delle associazioni agricole, della politica e dell’industria. Si è parlato di imballaggi, tema quanto mai caldo in questo periodo, con Claudio Dall’Agata, direttore del Consorzio Bestack, che ha spronato la sala a considerare il packaging non un elemento di costo quanto un elemento di valore citando casi reali, e di considerare, a questo punto, la possibilità di parlare di “prodotto etico”, non solo “ tradizionale, integrato o biologico”, giusto per citare quelle più gettonati in questo momento, in grado di creare e redistribuire valore a tutta la filiera.
Paolo Bruni, presidente del CSO Italy, ha richiamato l’attenzione sulla grande contraddizione di un settore che produce 25milioni di tonnellate, me ne consuma solo 9, costretta quindi a esportare anche se drammaticamente fatica considerando che ormai per il secondo anno consecutivo ci accingiamo e vedere salire le importazioni con una bilancia commerciale negativa. Angelo Benedetti, presidente di Unitec ha sottolineato come nel nostro paese “siamo capaci di fare pizza, caffè, ristorazione, ma quando dobbiamo valorizzarle con un processo industriale non ce la facciamo e siamo propensi a pensare in piccolo, mentre quando c’è bisogno di crescere non bisognerebbe frammentarsi”.
Lorenzo Faregna, in rappresentanza di Federchimica, ha difeso un settore che investe in ricerca e sviluppo il 6% del fatturato contro l’1% medio dell’industria italiana. “Con gli agricoltori abbiamo lavorato per fare prodotti sicuri. Gli agricoltori però devono fare reddito e vogliono tutelare le produzioni. Abbiamo un trend di consumo dei prodotti chimici che diminuisce ogni anno del 2%. Noi siamo fieri dei nostri prodotti e invece sembra che noi siamo i primi detrattori descrivendo sempre il mondo agricolo ancora indietro anni luce” facendo riferimento ad un ormai noto spot di un’insegna della grande distribuzione organizzata.
L’europarlamentare Paolo De Castro, ha tranquillizzato i presenti sulla riforma della Pac, “c’è la proposta di una proroga di 2 anni”, nonché sul New Europan Green Deal: “non verranno presi soldi dalla Pac e verrà affermato, per la prima volta, il principio della reciprocità degli standard qualitativi se ci apriamo a produzioni di paesi terzi che dovranno rispettare le nostre regole. L’ha affermato con forza, ed è un precedente, Ursula von der Leyen”.
Raffaele Borriello di Ismea, elencando molti dei dati negativi degli ultimi 10 anni del settore ortofrutticolo, tra i quali quelli deficitari dell’export ortofrutticolo degli ultimi due anni, ha richiamato la platea a leggerli con un ottica differente rispetto a quella usuale. “Nel 2019 continuiamo a perdere, ma non è colpa dell’embargo russo o della globalizzazione. I motivi sono interni: perdiamo l’11,4% in Germania, nostro primo partner per l’export”. Non ha neanche più senso continuare a confrontarci con la Spagna, che ci ha più che doppiato dall’alto dei sui 14 miliardi di esportazioni. “Dobbiamo guardarci le spalle dalla Grecia e dalla Polonia, paesi nei confronti dei quali stiamo perdendo terreno”.