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Progetto Nocciola, il “piano” della Ferrero

progetto nocciola

Presentato a Macfrut un programma per coinvolgere altre regioni nella produzione corilicola

L’Italia è seconda produttrice di nocciole al mondo, ma prima c’è la Turchia che assicura il 65% del fabbisogno contro il 15%  italiano. Chiara ed evidente la posizione di forza sul mercato. Non consola la migliore qualità dei frutti italiani, serve anche la quantità. Per questo si è lanciato il Progetto Nocciola sostenuto dalla Ferrero che ha illustrato il progetto di sviluppo della coltura  a Macfrut. Un impegno di grande portata economica con l’obiettivo di “sganciarsi dalla Turchia”. Parola di Maurizio Sacco, il manager della multinazionale dolciaria incaricato di tagliare il traguardo di nuovi ventimila ettari dedicati alla nocciola. Servono investimenti, risorse e terra, ovvero andare oltre le 4 regioni che producono il frutto.

Non mancano i candidati come l’Emilia-Romagna, rappresentata al convegno dell’assessore all’agricoltura Simona Caselli, che ha fornito il sostegno regionale al programma: “Questa delle nocciole è una buona idea, una buona opportunità. Lavorare ad una filiera italiana con un partner come Ferrero dà sicurezza a tutti i protagonisti”. C’è da fare, ma si può fare. “E’ una coltura di medio periodo, ha bisogno di tempo, ma per l’Emilia-Romagna è una opportunità da non lasciarsi sfuggire – sottolinea l’amministratore regionale -. Gli studi  dicono che ci sarà necessità di irrigazione, inoltre bisognerà evitare pendenze eccessive. Ma si può fare e si possono utilizzare risorse europee”.

La Ferrero vuole estendere la coltura, oggi presente in Campania, Lazio, Piemonte e Sicilia, con l’obiettivo di “incrementare la produzione del 30% per arrivare a 90mila ettari dai 70mila di oggi – dà i numeri Sacco -. Raggiunti i ventimila prefissati ci si fermerà”. L’industria per chi aderisce al programma garantisce l’acquisto del prodotto fino al 2037.

A chi si rivolge il programma? “Ad associazioni, ma anche singoli produttori con minimo 100 ettari e un piano di sviluppo che prevede l’impiego di 500 ettari in 5 anni – queste le misure elencate dal manager -. Una dimensione minima che permette di ottenere la sostenibilità economica dell’intervento. Il produttore si impegna anche nella raccolta e in altri servizi presenti nel contratto di filiera. Uno strumento che offre delle garanzie: un prezzo fissato e che viene adeguato ogni tre anni. Si può  definire un’obbligazione a capitale garantito. Inoltre è un supporto alla produzione attraverso la qualità vivaistica, la qualificazione dei terreni e a questo proposito si sono costruite le carte di vocazionalità per individuare le aree adeguate”.

Questi i punti principali di un piano che può contare sulla potenza ed il supporto di una multinazionale che investe nell’agricoltura italiana non solo per sganciarsi dalla Turchia, ma soprattutto perchè riconosce l’eccellenza della nostra produzione. Un peccato non valorizzarla.

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1 Commento

  • Questa mi sembra una proposta nazionalistica. Un cittadino amareggiato che vive in Turchia.