Il tema della “sostenibilità” è da tempo considerato, un po’ in tutto il mondo, uno dei temi imprescindibili che ogni azienda della grande distribuzione alimentare non può non perseguire. È una questione di credibilità nei confronti di consumatori sempre più attenti alle tematiche ambientaliste e che veicolano le loro scelte di acquisto alimentare ponderando con attenzione anche l’impegno nei confronti dell’ambiente da parte della loro insegna di riferimento.
Nonostante questo, pare che di strada, quanto meno per l’avanzato e sempre all’avanguardia mondo del retail statunitense, ce ne sia ancora molta da percorrere. Uno dei modi, infatti, per verificare se realmente mettano in pratica i buoni proposti circa la tutela dell’ambiente è quello di verificare se abbiano adottato delle misure per ridurre l’uso di pesticidi all’interno delle loro catene di approvvigionamento alimentare.
A prendersi la briga di analizzare questo aspetto è stata la sezione a stelle e strisce di Friends of the Earth, associazione ambientalista internazionale presente in 75 paesi nel mondo. E lo ha fatto attraverso la seconda edizione di un approfondito studio dal titolo “Swarming the Aisles II. Rating top retailers on pesticide reduction and organic food to protect pollinators”.
La metodologia utilizzata è stata quella di valutare 25 insegne (attraverso l’analisi di documenti pubblici e domande alle stesse catene), le più importanti del panorama americano, secondo tre parametri: politiche e pratiche per ridurre i pesticidi, offerta di prodotti biologici negli assortimenti, trasparenza nei confronti dei consumatori in merito a questi temi.
Meno pesticidi, più insetti impollinatori. La più virtuosa? Whole Foods
Sebbene la maggior parte delle insegne americane analizzate dallo studio abbia assunto in molti casi impegni precisi su molti temi relativi alla sostenibilità – riduzione dello spreco energetico o del cibo in generale, lotta all’utilizzo di imballaggi non riciclabili etc. – sono invece decisamente in ritardo circa la riduzione dei pesticidi nella produzione del cibo che poi mettono in vendita. Solo 1 azienda sulle 25 prese in esame, denuncia lo studio, ha una chiara politica su questo tema: si chiama Whole Foods, un nome della Gdo americana storicamente da sempre legato a doppia mandata con l’universo del biologico. Le altre? Come si può vedere dalla classifica qui in basso la maggior parte non ne esce benissimo.
È un pericolo, afferma con forza Friends of the Earth, non secondario poiché dalla riduzione dell’uso dei pesticidi e dalla conseguente adozione di un’agricoltura biologica dipende la difesa degli insetti impollinatori: senza di loro la maggior parte di quello che che mangiamo, frutta e verdura in primis, ma non solo, scomparirebbe dai reparti dei supermercati e, a quanto pare, circa il 40% delle specie di questi fondamentali insetti in America è a rischio estinzione.
Cresce sempre di più la domanda di biologico, non così l’assortimento
La situazione descritta dello studio assume aspetti contraddittori soprattutto se si pensa che gli Stati Uniti sono il paese che consuma più alimenti bio al mondo, il 44% delle vendite a livello globale. Qui, da tempo, la domanda supera abbondantemente l’offerta tanto che gli USA dipendono in modo preponderante dall’importazione di alimenti organic: nonostante questo la superficie agricola convertita al biologico è pari solo al 4%. Ad aumentare ancor di più il paradosso anche gli ultimi dati delle vendite bio in Usa che nel 2017 sono aumentate dell’8% rispetto al 2016. La maggior parte delle aziende analizzate dall’analisi di Friends of the Earth sono in competizione tra loro proprio sull’offerta bio, ma solo 6 di loro hanno dichiarato la loro ferma intenzione di aumentare il loro assortimento in futuro: Albertsons, BJ’s Wholesale Club, Costco, Target, Walgreens e Whole Foods.
Amazon? All’ultimo posto
A proposito di Whole Foods, che nel rating dello studio è l’unica insegna a strappare il massimo punteggio di A, è curioso notare come chi l’abbia acquistata a suon di miliardi di dollari l’anno scorso con una delle operazioni finanziarie che più hanno catalizzato l’attenzione dei media di tutto il mondo, vale a dire Amazon, sia invece all’ultimo posto di questa classifica con il misero punteggio di F in tutte e tre le categorie prese in considerazione. Evidentemente il colosso di Jeff Bezos, come d’altronde molti analisti sottolinearono interrogandosi sui tanti motivi dell’acquisizione nel luglio del 2017, sapeva benissimo che l’unico modo per riuscire a colmare la grande domanda di bio presente in questo momento sul mercato era comprarsi, in un colpo solo, il migliore presente sulla piazza in quel momento.