Prodotti acquistati in eccesso, tenuti in dispensa troppo tempo, buttati via in grosse percentuali: 36% cereali, 41% frutta, 48% verdura. E’ l’impietosa fotografia del Libro nero sullo spreco agroalimentare in Italia, che analizza le fasi della filiera e l’impatto sociale, economico e ambientale del fenomeno. Lo studio, citato il 1° novembre su La Stampa, prende le mosse dalla produzione agricola 2009, di cui sono rimasti nei campi 17,7 milioni di tonnellate, sufficienti a sfamare un paese come la Spagna. Tra gli indesiderati dell’ortofrutta, ortaggi (scartato il 12,5%), legumi e patate (5,2%). Le cause? Estetiche e di mercato. Non fanno meglio le coop e industrie di produttori, che per far fronte al crollo dei prezzi ritirano dal mercato 73mila tonnellate di prodotti l’anno; solo il 4% viene recuperato, mentre l’UE ne finanzia produzione e distruzione. Un paradosso reiterato nella fase di trasformazione: le industrie alimentari buttano 2 milioni di tonnellate di prodotti, e che peggiora quando si arriva al consumo – gli italiani sprecano il 17% dell’ortofrutta, il 39% di uova, latte e derivati. Le vie d’uscita: informazione, consapevolezza e adozione di comportamenti virtuosi.
La filiera dello spreco agroalimentare
Persi ogni anno 3,7 miliardi tra giacenze e acquisti esagerati
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