Parlare di drupacee da qualche anno a questa parte non è mai semplice. Sebbene, infatti, pesche, nettarine, albicocche e susine rappresentino la categoria di frutti più importanti del mercato estivo, come ben sanno agricoltori, produttori e distributori, il loro appeal nel corso degli anni è diminuito sempre di più.
Il motivo? Ne ce n’è uno solo: dalla questione varietale fino ad arrivare al cambio delle preferenze da parte dei consumatori, il quadro della situazione non è dei più edificanti e i punti interrogativi tra un po’ tutti i protagonisti della filiera più che diminuire, sembrano aumentare di anno in anno.
Il clima che si respirava durante l’incontro organizzato da Naturitalia proprio su questo comparto durante l’ultimo Macfrut ha confermato le difficoltà di una categoria che fatica a riconquistare le posizioni passate. “La categoria delle Drupacee ha subito cali importanti nell’ultimo anno questo sia per la tendenza comune «compro meno, ma ad un maggior prezzo per avere una migliore qualità», ma soprattutto per un allontanamento degli acquirenti dalla categoria” ha chiosato alla fine del suo intervento Alessandro Borghi, manager di Nielsen specializzato proprio nel comparto dei freschi, chiamato dalla business unit di Apo Conerpo per tracciare un quadro del comparto drupacee in Italia.
I dati del 2016
I dati non lasciano spazio a molti dubbi e per chi segue il settore forse non rappresentano neanche una sorpresa, se non una conferma, tranne forse per quanto riguarda le albicocche, frutto del quale si è sempre detto ultimamente fosse in netta ripresa: le famiglie che nel 2016 hanno acquistato drupacee sono calate complessivamente del 2,2% (19,1 milioni), i volumi sono diminuiti del 7,1% (355 milioni di chili), il giro d’affari è stato di 636 milioni di euro (-3,4%), pari ad una spesa media per famiglia di 32,05 euro (-1,5%) e, ancora, ad una quantità media per famiglia di 17,9 chilogrammi (-5,3%). Se poi si considera che frutta e verdura, per ciò che concerne il peso imposto (la fotografia di Nielsen sulle drupacee, infatti, si riferisce a questa specifica categoria) l’anno scorso sono cresciute sia a volume (+7,8%) che a valore (+12,6%), allora la debacle delle drupacee appare ancor più sconfortante.
Il profilo dei consumatori di drupacee: coppie mature e anziane
Nonostante il trend salutistico in atto, che dovrebbe vedere proprio frutta e verdura come protagonisti assoluti, qualcosa non sembra andare per il verso giusto per questi frutti. Una crisi che come gli operatori sanno parte da lontano e, quanto meno per ora, non sembra facile vedere la luce fuori dal tunnel. In che direzione andare? Nelle sue conclusioni Borghi sottolineava come il rilancio di questa categoria debba sfruttare meglio il trend, per l’appunto, salutistico, con relativa richiesta di maggior “naturalità”, cercando, per esempio, di aumentare la penetrazione nelle fasce più giovani, “gli aquirenti del futuro”. Sì, perché, tra le tante fotografie di questa categoria emerse durante l’incontro, una delle più forti è quella che immortala questi frutti come amati soprattutto da una fascia non certo giovane della popolazione: il profilo del consumatore tipo delle pesche è over 64, quello di susine e albicocche over 55, quello delle nettarine over 45.
Si salvano solo le susine
La carta d’identità delle drupacee tracciata da Nielsen, che ha preso in considerazione vari aspetti, tra i quali numero delle famiglie acquirenti, acquisti medi, spesa media, scontrino medio e via discorrendo, vede emergere rispetto al segno meno imperante solo le susine. In controtendenza, infatti, questi frutti negli ultimi anni hanno visto aumentare il parco consumatori con 600mila famiglie acquirenti in più, con un trend preciso: meno quantità, più qualità. Non a caso lo scontrino medio è aumentato mentre i chili sono diminuiti. Un dato, quest’ultimo, che ritroviamo anche sul fronte delle nettarine e delle pesche: le promozioni, afferma l’indagine Nielsen, non sono più premianti come nel passato. Per quanto riguarda, invece, il numero delle famiglie acquirenti, l’emorragia è continua: 400mila famiglie in meno per pesche e nettarine, 700mila per le albicocche.
Comunicare meglio e puntare sulle varietà sub-acide
Ovviamente nessuno ha la bacchetta magica e più che vie d’uscita i dirigenti di Naturitalia hanno evidenziato alcuni aspetti imprescindibili dai quali partire, o meglio, ripartire. «Bisogna provare ad alzare l’asticella della qualità» è il primo punto evidenziato da Gianluca Lucchi, responsabile commerciale per l’Italia. «Per far questo bisogna migliorare sia in campagna – facendo diradamento dei fiori e dei frutti e introducendo raccolte in momenti diversi – che in magazzino – alcune varietà hanno bisogno di frigoconservazione altre invece devono essere lavorate “a caldo”».
C’è, poi, il nodo varietale, importantissimo secondo tutti i presenti. «Dobbiamo portare il consumatore verso le varietà subacide, più dolci e meno acide», aspetto sottolineato con forza anche dal direttore generale Gabriele Ferri. «Nonostante l’importante arrivo delle subacide non abbiamo ancora detto al consumatore se sta comprando una pesca tradizionale o una subacida. Dobbiamo, invece, tassativamente dirglielo. Anche perché le varietà sul mercato cambiano continuamente e il consumatore è spiazzato».
Ma è tutto il sistema che, secondo Ferri, deve cambiare passo perché in questo settore «non c’è una marca che possa condizionare il consumatore». A partire dal fare una vera mappatura di ciò che è coltivato in questo momento in Italia. «Noi non abbiamo una chiarissima idea della situazione catastale delle drupacee. Pesche e nettarine rappresentano il 60% del volume di affari della frutta estiva ma non è mappato in maniera chiarissima. Ci sono in coltivazione più di 200 varietà di pesche e altrettante di nettarine. Penso che molti di noi farebbero fatica a riconoscerle, figuriamoci il consumatore in un punto di vendita!».
Come si spiega il trend negativo nel peso imposto? «Forse il consumatore si è stufato dei cestini a basso prezzo dove dentro c’è sempre una pesca di piccolo calibro non buonissima». Infine, perché non puntare in modo deciso anche sulle pesche piatte, oggi molto richieste dai mercati esteri, Regno Unito in particolare. «In Italia sono state introdotte da poco e quindi, in generale, siamo in rincorsa rispetto alla Spagna che ci ha creduto prima» ha concluso sempre Gabriele Ferri. «Sono più complesse dal punto di vista gestionale e creano problemi per i costi in produzione e soprattutto nello stabilimento. Questi aspetti frenano il loro sviluppo».